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Hikikomori, dramma di chi non studia né lavora

di | 2020-02-14T13:03:37+01:00 16-2-2020 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

MILANO – Un fenomeno che è nato in Giappone già negli anni Ottanta e che adesso ha raggiunto proporzioni ragguardevoli, sta prendendo piede anche in Italia. Si parla di tutti quei giovani, tra i 14 e i 25 anni, che non studiano e non lavorano.
Non hanno amici e trascorrono gran parte della giornata nella loro camera sdraiati sul letto o buttati sul divano. A stento parlano con genitori, parenti e persone che vivono loro accanto. In genere dormono durante il giorno e vivono di notte per evitare qualsiasi confronto con il mondo esterno. Si rifugiano tra le pareti confortevoli della Rete e dei social network utilizzando spesso profili fittizi per mantenere un contatto con la società che hanno deciso di abbandonare. Li chiamano hikikomori, termine giapponese che significa “stare in disparte”.
In Giappone il fenomeno, che interessa milioni di casi, forse è favorito dalla cultura e dall’assenza del padre spesso impegnato per lavoro tutto il giorno, compresa la domenica. In Italia stiamo assistendo al diffondersi di questo atteggiamento da qualche anno, ma le proporzioni stanno crescendo in modo allarmante.
“E’ un male che affligge tutte le economie sviluppate – spiega Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, la prima associazione nazionale di informazione e supporto sul tema –. C’è chi riesce ad affrontare la pressione della competizione scolastica e lavorativa e chi, invece, molla tutto e decide di auto-escludersi”.
Si rifugia in un mondo immaginario dove l’unico contatto con la realtà circostante è realizzata attraverso l’uso dei social. Molto spesso l’ambiente scolastico è  vissuto con particolare sofferenza dagli hikikomori, non a caso la maggior parte di loro sviluppa questo atteggiamento durante il periodo delle scuole medie inferiori o superiori, quando maggiormente ci si sente inadeguati. A volte il fattore scatenante è un insuccesso scolastico, altre un episodio di bullismo oppure la prima delusione d’amore vissuta come rifiuto.
La famiglia troppo impegnata nel lavoro e negli impegni personali, culturali e sportivi, nemmeno se ne accorge e così accade che questi giovani saltino i giorni di scuola e, non provando più interesse per quello che c’è fuori, non abbiano nemmeno il desiderio di uscire. Le ore ed i giorni si trascinano uno dietro l’altro finché qualcosa che nasce dentro di loro non li sveglia da questa apatia e li costringe a prendere in mano la propria vita.
Ed ecco che molti prendono lo zaino e partono per nuove avventure, alla scoperta di mondi nuovi, lontano dal paese natio, alla ricerca del proprio io, nel tentativo di costruirsi un futuro che li soddisfi.

Margherita Bonfilio

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