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Di nuovo allagamenti: trema la Piana Reatina

di | 2021-02-26T20:29:29+01:00 28-2-2021 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

RIETI – La bonifica, con la realizzazione dei laghi artificiali Salto e Turano, ha evitato che la città di Rieti si allagasse periodicamente e infatti dal 1940 non ci sono più le disastrose “pianare” per le vie della città, ma la piana reatina, un tempo dominata dal lacus velinus, è sempre a rischio. Piogge e nevi abbondanti in queste settimane hanno indotto ad aprire le paratie del Turano, che ha ingrossato il fiume omonimo e i fossi: gli argini hanno tracimato, allagando i campi, le aziende agricole, abitazioni, stalle, il Centro Appenninico Carlo Jucci. Anche il livello del fiume Velino è alto. La diga del Salto si svuota per tracimazione al raggiungimento del massimo invaso. Il livello si può abbassare aprendo la condotta che porta alla centrale elettrica di Cotilia, con un rilascio controllato, che è stato effettuato, ma il livello resta alto.

Le idrovore della piana, gestite dal Consorzio di Bonifica sono ancora quelle originali, quando furono realizzati i due bacini artificiai, ma sono ancora funzionanti, anche se per svuotare la piana bisognerebbe aprire alla cascata delle Marmore, con il rischio di allagare Roma. Questa è la situazione dalla notte del 25 gennaio e l’allerta rimane alta per lo sciogliersi delle nevi abbondanti. Ironia della sorte, dopo tanti anni che gli operatori turistici invocavano la neve, ora gli impianti sciistici sono chiusi. Le restrizioni di spostamenti tra regioni hanno fatto prendere comunque d’assalto il Terminillo per una giornata sulla neve, anche con gli impianti chiusi, per praticare sci di fondo e passeggiare con le ciaspole.

Situazioni analoghe si sono verificate nel 1979, 1999, 2010. Più volte si è tentato un processo per disastro colposo a carico dei gestori dei due bacini (negli anni le concessioni sono passate di mano in mano dalla società Terni a Enel, poi Endesa, Eon, dal 2015 Erg Power Generation), per aver ritardato l’apertura delle paratie senza arrivare a condanne penali. Al Tribunale delle Acque sono pendenti diverse cause di risarcimento e ora si ricomincia: la Procura è al lavoro, la Regione Lazio ha proclamato lo stato di calamità naturale per i comuni colpiti (Rocca Sinibalda, Belmonte in Sabina, Longone Sabino, Rieti, Contigliano, Greccio, Rivodutri, Colli sul Velino, Cittaducale, Cantalice, Poggio Bustone, Concerviano, Petrella Salto); Coldiretti Rieti ha annunciato vertenza, il presidente Alan Risolo ha dichiarato di voler andare fino in fondo per accertare le responsabilità, condannando “la privatizzazione degli utili, mentre le perdite si riversano sulla collettività”. Il danno stimato è di oltre un milione e mezzo di euro, oltre 600 ettari di terreno agricolo interessati, di cui 350 coltivati a cereali e 250 a erba medica.

La Coldiretti Rieti e il Consorzio di Bonifica, presieduto da Gianluca Pezzotti, hanno incontrato i vertici della società Erg che si è detta disposta a collaborare, aprendo prospettive in tema ambientale, sostenibilità e green economy. Per fortuna non si sono registrate vittime. I disciplinari di gestione andranno ridiscussi e aggiornati, anche in considerazione dei cambiamenti climatici ormai evidenti. Incessante il lavoro dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile e volontari, il Coc dei comuni coinvolti per rimuovere tronchi d’albero, alzare gli argini, proteggere le abitazioni con sacchi di sabbia, evacuare persone e animali. E poi ci sarà da ripulire tutti i detriti che le acque hanno portato con sé: non solo tronchi, ma barche alla deriva, bottiglie, plastica e altro sotto le dighe.

Al Centro Appenninico Carlo Jucci, diretto da Valerio Vecchiarelli, struttura di ricerca per bioagronomia e meteorologia, con 13 dipendenti dell’Università di Perugia, sono andati in fumo anni di sacrifici e di lavori: le colture sono state completamente sommerse e non esiste più nulla, serre inondate da 80 centimetri di acqua, corrente tolta per precauzione a danno dei semi custoditi nelle celle frigorifere. I danni economici sono enormi, ma lo sono ancora di più i danni alla sperimentazione, i progetti su colture perenni in atto e sarà duro ripulire i campi da semi indesiderati portati dalle acque. Il Centro Appenninico del Terminillo è stato fondato nel 1949 da Carlo Jucci, ordinario di entomologia all’Università degli Studi di Pavia e dal 1978 è di proprietà dell’università di Perugia, con il vincolo di mantenerne le stesse finalità di ricerca scientifica per il miglioramento genetico delle piante agrarie. Recentemente è stato trasformato in Centro servizi universitari, ha curato la pubblicazione di circa 250 lavori scientifici realizzati presso la propria struttura. Grazie a un progetto finanziato dalla Regione Lazio nell’ambito del piano di riassetto del “Turismo montano”, nei campi sperimentali della stazione di Base di Rieti, di Pian di Rosce e di Colle Scampetti, sono stati realizzati, tre giardini fenologici.

Francesca Sammarco

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