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Così Machiavelli sventò la congiura di Magione

di | 2019-02-01T13:31:55+01:00 3-2-2019 6:10|Cultura, Sezione 3|0 Commenti
MAGIONE (Perugia) – Fu Nicolò Machiavelli (nella foto in basso, a destra) a svelare, su mandato del governo della Repubblica di Firenze, a Cesare Borgia il Valentino, i piani messi a punto contro di lui dai suoi capitani nel corso della dieta di Magione e, quindi, a far fallire il progetto. Lo scrive lo stesso segretario fiorentino nella “Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini”.
Era successo che i condottieri ingaggiati dal Valentino per conquistare Bologna strappandola ai Bentivoglio, nel timore che il figlio di Papa Alessandro VI diventasse troppo potente e dopo la città felsinea intendesse liberarsi di loro e conquistare i loro possedimenti, si riunirono nella Badia dei cavalieri di Malta a Magione. Erano presenti il cardinale Giovan Battista Orsini, padrone di casa, Paolo Orsini, il duca di Gravina Francesco Orsini, Vitellozzo Vitelli di Città di Castello, Oliverotto da Fermo, Giampaolo Baglioni signore di Perugia (Machiavelli lo definisce “tiranno” della città) e Antonio da Venafro, rappresentante di Pandolfo Petrucci, signore di Siena. Tutti convennero che il Borgia doveva essere eliminato e che fosse necessario, affinché l’impresa andasse in porto, sostenere i Bentivoglio e Bologna, cercando di guadagnarsi, al contempo, l’alleanza di Firenze. Così mandarono uomini fidati ai bolognesi ed ai fiorentini, sollecitando una solida unione “contro il comune nemico”. Sulla scorta delle notizie filtrate dopo la dieta, scoppiarono tumulti ad Urbino che sfociarono nella conquista di San Leo.
I congiurati, tuttavia, avevano mal riposto le loro speranze. I fiorentini, infatti, nutrivano odio per i Vitelli (ne avevano giustiziato da poco uno, Paolo, per presunto tradimento) e per gli Orsini, per cui non solo non accettarono la proposta di far fronte comune contro il Borgia, “ma mandarono Niccolò Machiavelli, loro segretario – lo scrive in terza persona lo stesso protagonista della vicenda nel 1503, pochi mesi dopo i terribili fatti – ad offrire al duca ricetto ed aiuto contro questi suoi nuovi nemici”. Il Valentino si trovava “pieno di paura” – rimarca Machiavelli – ad Imola “perché in un tratto e fuori di ogni sua opinione, essendogli diventati nimici i soldati suoi, si trovava con la guerra propinqua e disarmato”.
Tuttavia dopo i primi momenti di sconforto, seguiti alla rivelazione dei progetti dei congiurati, il Valentino (nella foto a sinistra) riprese la sua proverbiale freddezza. “Essendo un grandissimo simulatore” (parole del Machiavelli che lo conosceva bene) mandò messaggeri ai vari condottieri che gli si erano ribellati per trattare un accordo, mentre nel frattempo preparava truppe e chiedeva rinforzi al re di Francia. Con callida intelligenza confermò le condotte dei suoi capitani, inviando a ciascuno di loro quattromila ducati come anticipo e promise di non attaccare Bologna. I congiurati, dal canto loro, si dissero disposti a restituire l’appena conquistato ducato di Urbino e affermarono di essere disposti a fare l’impresa Toscana (la guerra a Firenze, insomma) o a prendere possesso di Senigaglia. Borgia approvò questa seconda proposta e preparò le sue terribili contromosse.
Si spostò a Fano e convinse, con donativi e suadenti discorsi, i messaggeri del Vitelli e dell’Orsini che i condottieri lo aspettassero nella città che si preparavano a conquistare. Vitellozzo si mostrò restìo, temendo l’inganno, ma alla fine decise di aspettare il Valentino a Senigaglia. Il 30 dicembre 1502 Cesare Borgia convocò otto suoi fidatissimi collaboratori (tra i quali Michelotto Corella e monsignor D’Euna, poi divenuto cardinale) ed ordinò loro che, a due a due, affiancassero ciascuno dei quattro (Vitellozzo, Oliverotto ed i due Orsini) e li accompagnassero dentro Senigaglia senza farli allontanare, fino al suo arrivo. Il piano funzionò senza intoppi. Le quattro vittime designate furono accolte dal Duca con apparente amicizia e signorilità, ma una volta entrati in una stanza del castello furono tutti imprigionati. Il duca, nel frattempo, fece attaccare i soldati accampati fuori città di Oliverotto (completamente debellati), degli Orsini e del Vitelli (le truppe di questi ultimi riuscirono a sganciarsi). I loro comandanti, tuttavia, non ebbero scampo.
Durante la notte Borgia decise di far assassinare Oliverotto e Vitellozzo. Il compito fu affidato a Michelotto che condusse i due in una stanza e li strangolò insieme e con una sola corda. Paolo Orsini ed il duca di Gravina furono, per il momento, lasciati vivi, in attesa che Alessandro VI mettesse a segno la parte del piano che lo riguardava, cioè la cattura del cardinale Orsini, arcivescovo di Firenze, e di messer Jacopo da Santa Croce. Quando il 18 gennaio il duca, che si trovava a Città della Pieve, ebbe notizia che i due erano ormai ristretti dal pontefice a Tor di Nona ordinò a Michelotto di riservare lo stesso destino agli Orsini, sopravvissuti in catene per poco più di due settimane. Il cardinale, dal canto suo, morì avvelenato nel carcere di Castel Sant’Angelo il 23 gennaio. Il pontefice fece stilare a due medici compiacenti un certificato di decesso per cause naturali.
Niccolò Machiavelli definì questa strage, mostrando grande ammirazione per il Borgia, il “magnifico inganno”. Questi erano i tempi.
Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, il castello di Magione

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