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Boragina parla di morte per raccontare la vita

di | 2020-08-16T06:27:20+02:00 16-8-2020 6:29|Cultura, Sezione9, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – Si intitolerà “Prima che mi scoppiasse il cuore” il prossimo spettacolo teatrale di Piero Boragina, artista a tutto tondo (uomo del Rinascimento), autore del pluripremiato Vita di Giorgio Labò (ed. Aragno, 2011) e coautore, con Giuseppe Marcenaro, delle grandi mostre biografiche, piene di nuove scoperte ed inediti, tenutesi tra gli anni Novanta e i primi del Duemila a Genova e a Milano, come quelle su Eugenio Montale, Arthur Rimbaud, Giacomo Leopardi e Stendhal, ciclo chiusosi nel 2007 con la grandiosa mostra “Russia – URSS 1905 – 1940. In cento soli fiammeggiava il tramonto”.

Piero Boragina

Boragina scrittore combina la sua attitudine alla ricerca con quella espressiva nella formula di restituire figure e momenti dell’arte e del pensiero di forte intensità estetica ed etica. Come pittore, ha consolidato uno stile vicino all’informale in cui elemento realistico e visionario coesistono in un unicum. Il suo nuovo spettacolo teatrale (Boragina nasce attore, è tra i fondatori della Compagnia del Teatro della Tosse di Genova nel 1975) mette insieme i due generi della scrittura e della figurazione all’insegna della performance: la sceneggiatura sarà basata sull’evento, definito dai medici come scientificamente inspiegabile, della sua sopravvivenza a numerosi, dolorosi e consecutivi infarti nel settembre scorso. Tra l’uno e l’altro i parametri vitali erano assenti, “ma la mia coscienza no – racconta Boragina – e ricordo tutto, ho visto tutto”.

I segni premonitori del dissesto? “Nell’estate del 2019, ho avvertivo una strana urgenza, ho dovuto dipingere dei quadri nuovi e per me inediti: puramente, assolutamente visionari. Mi venivano fuori uno dopo l’altro, violenti, successivi come dei conati di vomito. Li guardavo e non li capivo. Mi domandavo: cosa mi succede?”. Torna in mente un’altra eruzione di un altro grande genovese, come Boragina: quella de La filosofia dell’assurdo di Giuseppe Rensi (1937), che ebbe a scrivere che l’opera uscì da lui improvvisamente “come un getto di lava”. Solo dopo la fine della disavventura di salute è arrivata, per Boragina, la comprensione di quel gruppo di opere: “Erano un avviso e una premonizione: dell’azzeramento totale della mia vita di prima, e del suo non scontato, rinnovato reinizio. Avviso e premonizione sì personali, ma non solo”.

“Prima che mi scoppiasse il cuore” sarà dunque uno spettacolo nuovo e diverso da tutte le altre opere di Boragina perché, diversamente da tutto il suo lavoro sin qui svolto, l’autore si troverà a parlare di sé: cosa che ha sempre evitato di fare, sia per scelta di poetica che per carattere. Ma sarà necessario, perché “in questa vicenda – racconta l’autore – attraverso di me ho ricevuto un messaggio di senso che devo significare al mondo, perciò io sarò non l’argomento della performance teatrale, ma il portatore, il pretesto”. In scena ci saranno le sue opere: le vere protagoniste. E altre tele, bianche, che nel corso del monologo riceveranno l’impronta del colore. “Apparirò intubato sul palco, come ero nel mio letto di ospedale. Più o meno tubi, tubi diversi, ogni tubo una funzione. Ogni funzione un senso, un colore, un’espressione”.

Ed anche parlare di monologo non è poi corretto, se, come accadrà, Boragina dialogherà con le sue enigmatiche opere ancora per lui insiegabili: “Sono loro le depositarie dei segreti di quanto è avvenuto a me, e forse di quanto doveva a breve avvenire al mondo con lo stravolgimento della pandemia, iniziato appena dopo il mio tornare a riveder le stelle“. Per la prima volta Boragina si cimenterà con un genere teatrale che passa attraverso il corpo: viene subito in mente Hermann Nitsch, anche per la crudezza del tema, se non fosse per la diversità dei percorsi. “Ma parlare del corpo è un mezzo per parlare dello spirito, così come raccontare l’esperienza della morte sarà raccontare la vita”.

Francesco Maria Fabrocile

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