//Riflessioni in onore della Giornata Nazionale in Memoria delle vittime dell’Emigrazione

Riflessioni in onore della Giornata Nazionale in Memoria delle vittime dell’Emigrazione

di | 2019-10-07T22:41:01+02:00 7-10-2019 22:41|Alboscuole|0 Commenti
di Carbutti classe II L Oggi in onore della Giornata Nazionale in Memoria delle Vittime dell’Emigrazione, al posto della consueta lezione di storia la nostra professoressa ci ha riservato un’ora un po’ particolare, ma carica di significato. Innanzitutto, abbiamo visto un video alla Lim, preso da un telegiornale, risalente al 3 Ottobre 2013, quando un barcone, carico di centinaia di migranti, donne, uomini e bambini, ha preso fuoco: le conseguenze di questo tragico evento sono stati 360 morti, tra cui 4 bambini, 165 feriti e un numero incalcolabile di dispersi. Molte persone, senza né nome né volto, sono morte in quel fatidico giorno, eppure noi oggi, nel 2019, continuiamo a sentire di barconi e tonnare, soccorse dalla guardia costiera, ma obbligate a rimanere in mare, poiché nessuno Stato vuole accoglierle: come è possibile? Come possono decidere della vita delle persone? Basandosi poi su grafici, schemi e calcoli, trattandoli come se fossero numeri, unità che si possono cancellare come se niente fosse? Come si può anche solo pensare a un beneficio economico, quando c’è in ballo la vita di un altro essere umano, di un’altra donna, uomo o bambino, che sta lottando, contro la morte, contro la disperazione, che lo spinge a chiudere gli occhi per non aprirli mai più? Mentre noi guardavamo il video, la professoressa aveva poggiato sulla cattedra una bacinella piena d’acqua. Appena terminato il video, ci ha distribuito due pezzetti di carta a ciascuno e ci ha detto di scrivere i nomi delle due persone più importanti della nostra vita;io ho scritto “Mia mamma Anna” e“Mia sorella Claudia”. Questi sono i miei bigliettini:
          Dopo ci ha detto di mettere i bigliettini nei tappi delle bottiglie di plastica o sui sottobicchieri, che erano nella bacinella. Quando lo avemmo fatto tutti, la professoressa mosse la bacinella, all’interno della quale l’acqua si agitò, provocando l’andata a picco di tutti i “barconi” di plastica e l’annegamento dei bigliettini. Questo mi ha molto colpito; la professoressa, con questo esperimento, ha voluto farci comprendere cosa accade ai migranti, quanto sia precaria la loro situazione, quanto la loro vita sia affidata a niente di più che a un colpo di fortuna, e ci ha detto di scrivere i nomi delle persone a noi più care per farci anche solo immaginare il dolore dei parenti dei defunti. Ha richiamato la nostra attenzione anche sul fatto che non  tutti i bigliettini di tutti noi erano insieme: così come accade nella realtà, dove intere famiglie vengono divise o addirittura ci sono madri che imbarcano i loro figli, da soli nei barconi, poiché esse non possono seguirli e perché comprendono che quella è la loro unica speranza, per quanto labile, di salvarli da un destino, peggiore della morte stessa: quanto deve essere disperata una madre per fare questo gesto? Per lasciare il proprio figlio in balia delle onde, conscia che quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto, che lo avrebbe abbracciato? In che condizioni di vita deve versare per farlo? Questa non è stata l’unica volta in cui abbiamo parlato di migranti: la settimana scorsa leggemmo la storia di Samia Yusuf Omar, classificatasi per pe Olimpiadi, a cui però non prese mai parte: il barcone su cui viaggiava era naufragato e insieme a lei, oltre migliaia di persone erano morte cercando di scappare dall’Inferno. Accennammo anche ai lager nazisti, in Libia: queste sorte di prigioni, dove alle persone viene tolto tutto, perfino la voglia di vivere. Io mi domando che razza di mostro è l’essere umano, capace di uccidere l’altro per soldi, di vendere il fratello di colore in cambio del petrolio, di guardare dall’altra parte davanti ad una supplica. L’essere umano, che afferma di essere superiore alle bestie, è, in realtà, il più infimo dei serpenti; l’essere umano, che si definisce il più intelligente, non riesce a comprendere l’altro. Noi che abbiamo tutto, non facciamo altro che pretendere ancora di più, senza preoccuparci di coloro che, in questo stesso momento, stanno soffrendo. Penso che noi, come persone, dovremmo smettere di preoccuparci esclusivamente dei beni materiali e imparare a essere un po’ più solidali con chi non è fortunato come noi.