Durante i suoi anni di studio Freud si trovò a fare i conti con un mondo che sembrava essersi distrutto sotto il peso della violenza e della follia collettiva. La civiltà, costrutto umano che avrebbe dovuto garantire ordine e serenità, appariva come una prigione per l’anima, costringendo l’individuo a sacrificare la sua libertà per potersi adattare ad un sistema che non riusciva a proteggerlo dalle ingiustizie. La guerra, dunque non faceva altro che rivelare la profonda natura dell’uomo e della civiltà, un sottile velo, fragile che nascondeva l’ombra di pulsioni distruttive e di un’umanità incapace di evitarle. Queste pulsioni andavano a ledere, distruggere ed oscurare la capacità umana di prendere delle decisioni sicure se libere. La guerra può essere vista come un’ennesima prova che la civiltà non solo limita la libertà ma la annulla e la tradisce. La libertà non è mai stata totale, mai pura; le catene della libertà non sono mai state spezzate poiché l’umanità vive di desideri distorcendo la realtà con l’immaginazione, tenendosi all’interno della civiltà attraverso delle regole sociali. La vera libertà, quella senza limitazioni, negli anni della II guerra mondiale, sembrava ormai un miraggio, un sogno irraggiungibile di un’umanità che si era incatenata alle sue stesse creazioni. La creazione dei campi di concentramento e di sterminio da parte del regime nazista rappresentava un’altra manifestazione estrema della repressione della libertà, trasformando la sofferenza e la morte in strumenti di controllo e annientamento. In questo contesto la libertà individuale veniva brutalmente soppressa. Gli esseri umani ridotti a numeri e privati della loro dignità, e costretti a vivere in condizioni disumane, venivano privati di ogni diritto e speranza. Il pensiero di Freud sulla libertà assume una dimensione ancora più tragica. La repressione delle pulsioni che nella sua teoria psicanalitica è vista come un elemento necessario per la coesione sociale, si trasforma in una negazione totale dell’individuo. La civiltà, invece di essere uno strumento contro le sue ingiustizie diventa essa stessa strumento di oppressione. La felicità qui appare un concetto lontano ed irraggiungibile. La sofferenza inflitta non solo annientava la vita fisica ma distruggeva anche la possibilità di una realizzazione personale e una speranza per il futuro. La felicità così diventa un sogno infranto della realtà crudele della guerra e della persecuzione. Per Freud era già di per sé una meta non facilmente raggiungibile. Non si trova nella gratificazione immediata dei desideri, ma in un costante e doloroso processo di adattamento al mondo, alla società e a noi stessi. Gli oppositori politici ad esempio, erano costantemente costretti a compiere delle rinunce ai diritti fondamentali dell’individuo, quello alla vita per primo. Ma quando quelle rinunce diventano troppo gravose, quando l’anima si sente soffocata dal peso delle norme, dalla paura della guerra la felicità insieme alla speranza di salvezza svanisce. Non è un obbiettivo da raggiungere ma una chimera irraggiungibile. Durante la guerra non c’era spazio per le illusioni, con la sua violenza e la sua crudeltà mostrava che la civiltà non era in grado di salvare l’individuo dalla propria natura selvaggia. La civiltà secondo Freud sembrava spesso alimentare la brutalità dell’uomo rendendolo più isolato nella sua sofferenza. Segnato dalla tragedia che Freud vedeva intorno a sé, non poteva fare a meno di pensare che la civiltà fosse fondata su un equilibrio che facilmente poteva essere rotto sotto la pressione degli istinti distruttivi. La libertà purtroppo non era mai completa e la felicità, anche quando presente era solo un’illusione passeggera. La guerra lo ricordava ogni giorno rendendo ancora più evidente che la vera domanda, non era se la civiltà poteva garantire la felicità, ma se l’umanità fosse pronta a vivere in un mondo che la civiltà stessa aveva costruito. La repressione per gli impulsi naturali è il prezzo da pagare per l’ordine sociale, e questo crea inevitabilmente un senso di disagio e insoddisfazione dell’individuo. Tuttavia, non ci viene suggerita una soluzione definitiva a questo conflitto. Piuttosto, ci invita a riconoscerlo e a comprendere che la felicità non è un obbiettivo assoluto, ma qualcosa di instabile e relativo, influenzato dalle tensioni tra i desideri personali e le esigenze della società. Freud quindi non ci dà delle risposte ma delle domande come: “l’umanità è pronta ad essere felice senza rinunciare a chi è davvero?”