//I Bucaneve- quelli che fioriscono sempre -di Ludovica Masiello ID

I Bucaneve- quelli che fioriscono sempre -di Ludovica Masiello ID

di | 2020-05-19T16:38:40+02:00 19-5-2020 16:38|Alboscuole|0 Commenti
STORIE DI PRIGIONI, PRIGIONIERI E ALTRE PRIGIONIE La prigionia nel corpo, nella mente, per volontà La prigione è metafora di tante cose come per esempio esiste la cella del monaco e quella del carcere penitenziario ma, per prigione si può intendere anche uno stato interiore o qualunque cosa che non permetta all’uomo di essere libero sia nel corpo o nella mente. Si può essere imprigionati e finire in un carcere penitenziario per diverse ragioni: per atti criminali, per ragioni politiche o religiose, per sbagli giudiziari e tante altre ragioni ma, molto spesso si può essere imprigionati nel corpo mentre la mente è e resta sempre libera come nel caso di Silvio Pellico. Silvio Pellico, uomo che della libertà fece suo vessillo. Sempre con la schiena ritta, con fierezza nonostante l’imprigionamento che caratterizzò la sua esistenza. Egli stesso volle ricordare la sua vita e le sue faticose esperienze nelle proprie memorie il cui titolo è significativo: Le mie prigioni. Pellico passò dieci anni recluso nella prigione dei Piombi di Venezia, a causa della dissidenza anti-austriaca nell’Italia risorgimentale. Rinchiuso ma solo nel corpo, perché il suo animo romantico mai smise di essere libero. Fin dalle prime esperienze, Pellico si distinse nel gruppo di coloro che, agli inizi dell’Ottocento, si schierarono contro il regime oppressivo del dominio austriaco. Esponente della Carboneria, farà sua arma l’editoria e, inoltre, fu esempio di quanto la parola scritta potesse avere forza nel riscaldare gli animi romantici e in fermento, di personaggi quali Foscolo, Berchet, Melchiorre Gioia. Redattore capo di una delle riviste attorno alla quale i principali animatori del risorgimento italiano hanno ruotato, Il Conciliatore, nome che sarà rivelatore per la sua esperienza, Pellico mostrò il proprio animo: sovversivo eppur sempre dedito ad una profonda moralità e fermezza di comportamento. Un perfetto connubio di quelle che costruivano la figura dell’uomo moderno. Il periodo è infatti quello della Rivoluzione Industriale che andrà ad influenzare un profondo cambiamento anche nell’editoria. Lo scrittore, come la figura di Pellico ben incarna, diventa uno scrittore-produttore, uno scrittore che si rivolge alle masse per propria volontà indipendente. Spirito libero e libertà di parola contro le censure e le committenze delle autorità. Lo scopo? Parlare direttamente ad un nuovo pubblico borghese la cui istruzione stava sempre maggiormente migliorando, dando allo scrittore la nuova necessaria veste di uomo d’affari accanto a quella consueta di uomo di cultura. Intellettuale in conflitto con il mondo, rigetto è rivolta verso l’istituzione: vero e proprio spirito romantico, non sono da lui permesse mezze misure. Totalmente immerso nelle passioni politiche e letterarie, non lascia che il sentimento abbia la meglio sulla ragione etica, mostrando in ogni suo testo fermezza, coerenza ed integrità. La sua forza romantica, tale da avere influenzato il pensiero di una nazione che si sarebbe poi liberata della dominazione austriaca anche grazie a lui, si rivelerà durante la prigionia nella riscoperta del sacro. Una tendenza degli spiriti irrequieti del tempo che non una salda ragione avrebbe potuto aiutare, ma solo il sentimento. Un sentimento tanto irrazionale quanto morale, tanto da essere perfettamente adeguato all’animo di Pellico. Proprio durante gli anni del carcere, lo scrittore sovversivo conobbe la fede. Pellico è esempio di uomo imprigionato nel corpo ma libero nella ragione e nel suo interiore ma ci può essere un altro tipo di prigione che si manifesta al contrario, cioè quando l’uomo è libero nel corpo ma imprigionato nella mente cioè quando esiste la cosiddetta prigione interiore. La prigione interiore è uno stato dell’essere in cui l’individuo si sente impotente di fronte al procedere della sua esistenza, sente grande frustrazione nel non riuscire a controllare gli eventi che lo travolgono, si sente incapace di realizzare il benché minimo cambiamento; si tratta di una prigione non fisica, bensì mentale in cui la mente è l’unica responsabile della sua creazione. Ogni giorno senza saperlo, sin dalla nascita e già da prima, attuiamo delle scelte, consce o inconsce che determineranno l’intera nostra vita. Il punto è che a volte, anzi molto spesso, il nostro inconscio, condizionato da eventi passati, dall’infanzia, dai genitori, dalla società, prende decisioni drammaticamente distanti dal nostro “vero Essere”, addirittura in contraddizione con ciò che siamo e con ciò che potrebbe veramente renderci felici! Paradossale, ma vero! Analizzando più a fondo il problema, notiamo che trattandosi di un problema ha già in sé la soluzione. Ipotizziamo di avere un sistema di controllo interno di cui siamo totalmente ignari, e che l’80 per cento delle nostre scelte sia condizionato da questo sistema, un sistema di pensieri che derivano dal nostro vissuto personale e che non ha nulla a che vedere con la nostra essenza ed i nostri desideri più profondi; un sistema che ogni giorno è impegnato a sabotare le nostre scelte migliori, improntate al raggiungimento di sogni ed ideali. Il nostro compito è allora quello di comprendere in che modo il sistema tenta ogni momento di deviarci dal nostro percorso, in che modo noi glielo permettiamo e da dove provengono gli schemi che questo benedetto sistema ha creato sino ad oggi. Esso è la nostra prigione mentale, quella prigione che ci impedisce giorno per giorno di avere, essere e fare ciò che più desideriamo in ogni campo esistenziale. Un percorso infelice che non abbiamo scelto noi consapevolmente, eppure “ci siamo dentro fino al collo”: un lavoro che non amiamo per niente e a mala pena ci fa sopravvivere, un legame sentimentale ormai logoro che non abbiamo il coraggio di chiudere, la paura di sbagliare, di restare soli, il bisogno di prendere quello che c’è, e soprattutto il sospetto che questa vita non potrà mai darci ciò che desideriamo veramente. Questi sono solo alcuni dei sintomi della prigione interiore. Se guardiamo il dipinto “la Ronda dei carcerati” di Vincent Van Gogh del 1890, notiamo che questo tema colpì molto l’artista che al tempo era ricoverato in un ospedale psichiatrico e che combatteva da tempo proprio contro la sua prigione interiore in quanto il suo sogno di diventare un artista famoso non si era mai realizzato tanto che questo suo star male lo condurrà presto al suicidio. Così molti altri artisti come cantanti, attori hanno combattuto e combattono contro questa prigione del malessere interiore e coloro che vogliono essere aiutati si rivolgono molto spesso a neuropsichiatri o psicologi per trovare una chiave che li liberi dalla sofferente prigionia. A volte essi riescono a far cadere le sbarre della gabbia altre volte come Van Gogh non ci riescono per cui commettono atti irreparabili come il suicidio.