//“AUF WIEDERSEHEN”

“AUF WIEDERSEHEN”

di | 2019-11-16T18:14:36+01:00 16-11-2019 18:09|Alboscuole|0 Commenti
di Minerva Freda – 3^B –   Caro diario, ti scrivo. Questa è la mia storia. Una storia un po’ insolita. Una storia di vita e di morte. Una di quelle che difficilmente si dimenticano. 18 gennaio 1945. Una data che non dimenticherò. Fu la data che segnò profondamente la mia vita, cambiandola per sempre. Mi chiamo Ester, ho 20 anni e sono ebrea. Quest’ultima affermazione non dovrebbe essere motivo di vanto, data la situazione in cui vivo, ma io ne vado fiera. Oggi nessuno vede di buon occhio noi semiti, siamo considerati la feccia degli esseri umani, degli individui che non meritano neanche di essere messi al mondo. Non so quanto ancora riusciremo a resistere; fuori è scoppiata la guerra, e mai più di adesso, siamo in pericolo. Nonostante tutto, nonostante la mia origine, sono riuscita ad ottenere un lavoro nel panificio qui vicino. Tutto trascorre tranquillo fino ad oggi. È il 7 settembre 1944. Mentre stavo servendo un cliente, vedo arrivare due grandi signori. Sono, inevitabilmente, due soldati a servizio di Hitler. So già cosa vogliono fare. Peraltro senza dire una parola, mi invitano “gentilmente” a seguirli. In un religioso silenzio, li seguo sul camion, parcheggiato in strada, pieno di altre persone, presumo ebree. Non so dove ci stiano portando. Ci hanno detto che andremo a fare una bella vacanza in Polonia, in un campo ad Auschwitz. Non li credo, mi hanno sempre insegnato a non fidarmi mai dei nazisti. Siamo arrivati di fronte al treno.  Ci ordinano di salire e di portarci i pochi bagagli che abbiamo. Il viaggio trascorre troppo tranquillo, tutti sono entusiasti della gita che andremo a fare, mentre io sono molto titubante. Insomma i tedeschi non hanno mai nascosto l’odio che hanno nei nostri confronti, cos’è tutta questa gentilezza all’improvviso? Ad un certo punto il treno si ferma e ci fanno scendere. Ad accoglierci c’è un ufficiale. Bellissimo! Scuro di capelli,ma con degli occhi verdi,simili a due smeraldi. Ha un po’ di barba accennata e penso che abbia non più di 25 anni. Ha la classica aria da nazista, ma vedo nei suoi occhi una scintilla molto particolare,che negli altri non avevo mai visto. Ad un certo punto, repentino come un fulmine appena caduto, mi si avvicina e dice semplicemente “Hans”. Inizialmente  non capisco cosa stesse per significare visto che non parlavo la sua lingua, ma piano piano inizio a capire che,forse,quella parola così breve non poteva essere nient’altro che un nome. Il suo presumo. “Ester”. E finisce lì. I giorni passano, ci hanno fatto tagliare i capelli e siamo vestiti con delle grosse tuniche a righe, con un numero tatuato sulla spalla. Ormai non siamo più persone, ma numeri. Non ci danno né cibo e né acqua e ci fanno costantemente lavorare nei campi. Ed ecco che incontro di nuovo Hans.Mi chiede se io sappia leggere o scrivere. Timorosa, ma anche incuriosita, gli rispondo di sì. Non capisco proprio il suo comportamento! Il giorno dopo, mentre con le mie compagne di prigionia ero impegnata ad arare un campo, arriva un soldato. “51424” dice. Riconosco subito il mio numero e mi avvicino – “sono io” – rispondo.   “Mi segua”. Obbedisco e mi porta in una stanza simile ad un ufficio. “Signor Meyer, le ho portato la prigioniera che mi aveva chiesto” dice la guardia rivolgendosi ad un uomo che gli dà le spalle. “Molto bene, vada pure”. E si volta. Mai e poi mai avrei immaginato di trovarmi di fronte proprio lui, Hans. “Ester” mi dice. “Hans” gli rispondo. E nel giro di pochi secondi, mi prende tra le braccia e mi bacia. Mi regala un bacio dolce e lento, carico di passione e desiderio, un bacio che tutti e due cercavamo da tempo. “Mi hai stregato” mi sussurra. Non posso fare a meno di sorridere mentre mi tiene ancora stretta tra le sue braccia, come se fossi una bambola di porcellana che si potrebbe rompere da un momento all’altro. Quest’uomo mi sta facendo impazzire. Sento che con lui c’è un qualcosa. Un qualcosa che nemmeno io riesco a capire. Quando lo vedo arrivare sento all’improvviso il mio cuore battere all’impazzata, è come se non esistesse nient’altro al di fuori di lui. Ho avuto la sfortuna di innamorami di un uomo che odia le mie origini, ma di un uomo che rischierebbe la vita pur di salvarmi. I giorni passano. Ormai Hans ed io siamo una coppia clandestina, la paura di essere scoperti mi tormenta sempre e non oso nemmeno immaginare cosa potrebbe accadere, se qualcuno venisse a conoscenza di questa storia. “Non preoccuparti stella, riusciremo a fuggire da tutto questo” continua a ripetermi Hans. Ma la paura è troppo forte e non so dove questo amore ci porterà. All’inferno immagino. Grazie ad Hans ho saputo tutto quello che succede nel campo di Auschwitz. Adolf Hitler ha ordinato lo sterminio di tutti gli ebrei in circolazione, di deportarli nei campi di concentramento per poi ucciderli con il gas, nelle docce. Io fortunatamente, sto riuscendo a rimanere lontana da queste docce, grazie alla protezione di Hans su di me. Ma sento che prima o poi dovrò andare incontro al mio destino. Prima o poi anche io abbraccerò la morte. Ed è proprio quando meno te l’aspetti che succede l’impensabile. È il 17 gennaio 1945. Si respira un’aria diversa, di speranza. Un colpo alla porta fa sussultare me ed Hans. Lui mi ordina di nascondermi. Dal mio nascondiglio vedo solo un altro ufficiale. “Auf Wiedersen ” sento e vedo Hans tornare in casa. Mi fa uscire e mi abbraccia. “Devo dirti una cosa” inizia. “Nel mondo si è sparsa la voce di quello che avviene qui. Ci hanno scoperto e Hitler non durerà a lungo. Domani ordineremo un’evacuazione forzata e la maggior parte di voi non riuscirà a sopravvivere. Tu resta qua finché non vengo a prenderti. Sono le 5 del 18 gennaio 1945. Le SS stanno iniziando ad evacuare il campo. Più che evacuazione sembrano delle marce di morte. Sparano a chiunque non sia in grado di proseguire e caricano altri prigionieri su treni diretti chissà dove. Sento all’improvviso un boato. Convinta che fosse Hans esco dal nascondiglio. Ma non è lui. È un ufficiale nazista. “51424,  lei cosa ci fa nella tenuta dell’ufficiale Meyer?”. In una manciata di secondi ci raggiunge anche Hans. Per noi è finita. L’ufficiale prende la sua pistola puntandola verso di me. “Morirai come tutti gli altri della tua specie” mi dice; e proprio nel momento dello sparo vedo Hans mettersi di fronte a me, accusando lui il colpo,non prima di aver ucciso a sua volta l’ufficiale. “Ti amo Ester”, queste sono le ultime parole di Hans prima di spirare tra le braccia. Il resto è storia. Il 27 gennaio l’Armata rossa apre i cancelli di Auschwitz. E così finisce la guerra. Guerra fatta da un uomo piccolo che voleva sentirsi grande. Ed è così che si conclude anche la nostra storia. Una storia proibita ma vera. Una storia che ha resistito anche di fronte agli orrori della guerra. E sono sicura che si parlerà sempre del primo ufficiale nazista che amò una deportata ebrea. Ester. Testo presentato al Concorso Perrotta nell’anno scolastico 2018/2019.